La “crisi “ della sinistra
lascia spazio ai populisti
di GUIDO NICOSIA
Davvero la memoria collettiva è così labile da oscurare, a distanza di poco più di settant’anni dal dramma e dagli orrori dell’ultimo conflitto mondiale, Il ricordo dell’immane genocidio e delle distruzioni che ne sono seguiti? Oppure la vocazione al male è così forte da riemergere, con prepotenza, nonostante tutto, nella società umana, non solo ignorando ma, addirittura, negando le nefandezze e l’orizzonte di morte che connotano la storia di un passato recente, con l’unico fine, irragionevole, di cancellare – micidiale colpo di spugna - lo Stato di diritto, che ha garantito, soprattutto in Europa, per tre quarti di secolo, dal 1945 fino ad oggi, pace e progresso civile?
Allora, come accade, del resto, ai nostri giorni, fu la crisi di valori generata dalla grande depressione economica, dal venir meno di accettabili prospettive di vita, a dar luogo al collasso della società stressata da una precedente guerra lunga e disastrosa, a sopprimere ogni afflato altruistico di solidarietà. Le plebi contadine affamate, la disperazione dei reduci senza lavoro o indegnamente sfruttati negli opifici della prima industrializzazione tumultuosa e senza regole, sono stati facile preda dell’estremismo politico, dei demagoghi di qualsivoglia estrazione. Fino a rendere possibile il trionfo del tiranno che ha soppresso ogni libertà.
La storia – si dice - non si ripete. E’ vero. Ma si alternano le vicende umane e l’uomo – come osserva Giambattista Vico - è sempre uguale a sé stesso pur nel cambiamento delle situazioni e dei comportamenti storici. In parole chiare ciò che si presenta di nuovo nella storia è solo paragonabile per analogia a ciò che si è già manifestato. Mutatis mutandis, dunque, a scuotere il quadro politico nell’attuale stagione di agitate circostanze, sono i contraccolpi negativi (lo abbiamo già sottolineato in un precedente articolo) indotti dalla globalizzazione, che ha prodotto una intensificazione degli scambi e degli investimenti internazionali su scala mondiale. Con la conseguenza di una sempre maggiore interdipendenza delle economie nazionali che ha portato anche a interdipendenze sociali, culturali, politiche e tecnologiche, con effetti positivi, certo, stimolando la concorrenza, favorendo la crescita, ad esempio, delle nazioni ai margini dello sviluppo mondiale, ma anche con effetti negativi, il degrado ambientale, l’aumento delle disparità sociali, la perdita delle identità locali, la riduzione della sovranità nazionale. Provocando, per una sorta di principio dei vasi comunicanti, la migrazione di intere popolazioni in fuga dalla fame e dai conflitti tribali, dalle aree sottosviluppate del mondo verso lidi, forse a torto, ritenuti ospitali o luoghi di possibile rinascita vitale. Fenomeni ineluttabili, ancorché emotivamente destabilizzanti per i paesi di destinazione già coinvolti in impreviste problematiche sociali e non in grado di valutare la prospettiva dei possibili potenziali vantaggi derivanti dalla acquisizione di nuove energie umane: a fronte di un costante arretramento demografico dei paesi ad economia affluente e di un ormai irreversibile invecchiamento della popolazione. Fenomeni naturali ai quali, tuttavia, non ha senso tentare di opporsi. Facendolo si producono danni maggiori. Si può forse respingere l’insidia violenta di una bufera atlantica, si possono fronteggiare con successo gli effetti devastanti dello tsunami? E’ sufficiente tentare di difendersi, allestendo misure di protezione per quello che possono valere; l’unica alternativa sarebbe distruggere subito tutto per evitare lo choc del vento trascinatore e della mareggiata invasiva. Ma si tratta di un’idea dissennata. Come lo è quella dei tragici demagoghi che mostrano “pollice verso” contro l’Europa, che innalzano muri e cortine di filo spinato alle frontiere, che sbraitano “padroni a casa nostra”. Rivendicando l’infausto ritorno allo Stato etico, postulato da una filosofia fallace e fraintesa; già portatrice di lutti e di sciagure, in antitesi ai princìpi della democrazia liberale, e posta alla base dell’esperienza fascista e di ogni altra volontà autoritaria, finalizzata al progetto di imporre ai cittadini, con la forza, un’unica morale ufficiale, riferita alla sfera sessuale, religiosa, civica o patriottica. Ed è così che si spiega la genesi delle aberranti, conseguenti teorie pseudo-scientifiche della “purezza” della razza, che hanno portato al varo delle leggi razziali in Italia nel 1938, episodi violenti culminati con la cosiddetta “soluzione Finale” , la shoah e la deportazione (anche) di zingari, omosessuali, e disabili, oltre di oppositori politici, nei campi di eliminazione nazisti, dove milioni di esseri umani colpevoli solo di una condizione di “diversità” , sono stati barbaramente sterminati nelle camere a gas. Tutto è cominciato partendo dalla grande protesta e cavalcando lo scontento delle masse. Oggi si ripresentano gli stessi rischi. Ai reietti di sempre si aggiungono etnie esotiche, occhi a mandorla e il colore della pelle. Ecco comparire il “ricorso” vichiano.
Una lunga premessa per introdurre il tema, quanto mai attuale e dibattuto, della crisi della sinistra, italiana ed europea, non più in grado di interpretare le istanze e il disagio dei settori meno provveduti della società, afflitti da crescente sofferenza. E non solo. Della legalità democratica nel resto del mondo, dagli Stati Uniti al Sud America, alla Russia, perfino dentro i confini dell’UE, gli stati dell’Est europeo, l’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Repubblica Slovacca (sodali nell’alleanza reazionaria di Visigrad) , la Polonia, incapaci di scrollarsi di dosso lo spirito di potenza coltivato negli anni dell’esperienza comunista. Totalitaria e violenta.
Occorre, prima di tutto, chiedersi cosa si intenda per Sinistra, dopo la fine della lotta di classe (una categoria che non trova più alcun riscontro nella realtà sociale dei paesi avanzati dell’Occidente) e dopo la caduta del muro di Berlino e lo scadimento dell’ideologia marxista-leninista. Con quest’ultima svanisce ogni altra ideologia subalterna, lasciando spazio a una sorta di pragmatismo borghese, a cominciare dalla ascesa alla guida del Paese, in Italia, di Massimo d’Alema, il primo presidente post comunista che, nei due anni a Palazzo Chigi, tra il 1998 e il 2000, ha messo in atto politiche completamente antitetiche agli insegnamenti storici di Marx e perfino della socialdemocrazia “classica” avviando privatizzazioni (Telecom, Autostrade) partecipando a conflitti promossi dagli Usa (Jugoslavia) e in generale attuando linee politico-economiche gradite al capitalismo neoliberista. Arrivando perfino a mettere in discussione conquiste del Welfare State ottenute, durante la prima Repubblica, al prezzo di durissime lotte sindacali. La sinistra, come opzione politico-sociale, arretra in altri paesi, in Francia, in Germania, perde significato nella difesa del lavoro nei paesi scandinavi. Avanza il blocco conservatore nei singoli stati, si consolidano gli egoismi locali, emerge l’esigenza di difendere l’ambiente con i verdi, ma non basta, le classi dirigenti europee, nel loro complesso, restano immobili mentre avanza a ritmi precipitosi il divenire cosmopolita della globalizzazione. E si dimostrano impreparati a fronteggiare la realtà di un mondo che cambia generando problemi giganteschi proiettati oltre i confini nazionali e che rischiano di travolgere le istituzioni democratiche. Impreparati a raccogliere il grido di dolore di moltitudini umane schiacciate dalla dinamica di un fenomeno incontenibile. E’ in questa Agorà spazzata dalla bufera che hanno trovato spazio (e continuano a trovarne) i sovranisti, gli euroscettici, i populisti di tutte le risme, per mietere facile consenso a danno di un mondo, di un Continente, l’Europa, che ha bisogno di coesione, di solidarietà, di volontà unitaria, per guardare al traguardo di una esistenza pacifica dei popoli. Diceva Giuseppe Mazzini “amo la mia patria perché amo tutte le patrie” . E quella Patria è arrivato il momento di difenderla. Si chiama Europa. Si potrà vincere se le forze progressiste uniranno gli sforzi per garantire a tutti – dentro e fuori i confini - pace, prosperità e giustizia.
Dando spazio ad avvedute politiche di integrazione, attenzione alle nuove realtà generate dal sorprendente fenomeno della globalizzazione, alle nuove “parti sociali” improvvisamente affacciatesi sulla scena mondiale e rimaste senza ascolto, restituendo dignità al lavoro, indipendentemente dalle culture di appartenenza e dal colore della pelle, mettendo in campo regole eque e certe, saggi provvedimenti di natura economica (finalizzati alla formazione culturale e professionale, all’accoglienza nel senso più ampio del termine) a vantaggio di tutti, dei lavoratori, dell’impresa e della società civile, allo scopo di rendere produttivo e concreto l’arricchimento derivante dall’acquisizione di nuove risorse umane. Di cittadini, ai quali si concedono diritti ma dai quali si pretendono doveri. E soprattutto promuovendo, nell’ambito europeo, il varo di un nuovo welfare, unica strategia utile per battere, una volta per tutte, la triste suggestione di chi vorrebbe riportarci indietro nel tempo, in una stagione torbida e inaccettabile.