Il "gioco facile" di populisti ed euroscettici
È' nel "deficit" di democrazia interno
il rischio vero delle istituzioni europee
Una sola ed unica speranza di possibile riscatto:
l'unione politica vaticinata dall'ideale federalista
Dove va l'Europa? Quali prospettive per il futuro del vecchio continente? Con questa analisi spassionata e impietosa della situazione di crisi che investe l'Unione Europea agli albori del nuovo millennio, un giovane studioso identifica il "male" strutturale che affligge l'impianto stesso di quella che è (o dovrebbe essere) la Casa Comune per cinquecento milioni di cittadini. E sollecita il dibattito tra le giovani generazioni.
di Giovanni Domaschio *
Alle porte dell'autunno di questo 2018, a fronte della crescente forza ed influenza del populismo xenofobo in Europa, l'Unione Europea è incredibilmente riuscita a mostrare i propri muscoli, o almeno così poteva sembrare. Con una votazione storica, avvenuta il 14 settembre nel parlamento europeo, è scaturita la decisione di attivare l'articolo 7 del trattato di Lisbona, stabilendo sanzioni e sospensione del diritto al voto nel consiglio europeo per l'Ungheria, colpevole non solo di essersi opposta a qualunque forma di accoglienza nel contesto della gestione dei flussi migratori, ma anche di aver limitato internamente la libertà della magistratura e delle ONG nel Paese, nonché delle Università. Un voto storico che sembrava essere la scintilla per una rivalsa dei principi europeisti, così apparentemente sopiti e calpestati in questi ultimi anni di divisioni e polemiche tra politici e capi di stato nel vecchio continente. Sembrava, appunto, poiché, evidentemente, seguendo la vicenda, ci si è tragicamente dimenticati della natura stessa dell'Unione Europea in quanto ente internazionale. L'unione risulta nei fatti impotente, vittima di una tragica e curiosa contraddizione: gli euroscettici del gruppo di Visegrad, infatti, hanno la possibilità di proteggere il proprio amico Viktor Orbán, salvandosi così in corner, grazie alla natura stessa dell'Unione che tanto sembrano detestare, basata su trattati che, ancor oggi, tutelano, innanzitutto, la sovranità nazionale.
La decisione del parlamento, infatti, non ha alcun valore senza che venga a sua volta deliberata anche dal Consiglio, tuttavia non in una modalità qualunque ma all'unanimità, escludendo la Nazione imputata. Questo meccanismo, infatti, previsto dal già menzionato articolo 7, è palesemente progettato per permettere agli Stati membri di punire e isolare un eventuale "ribelle" interno all'Unione.
Ma cosa fare quando i ribelli cominciano a essere più di uno solo? L'ostruzionismo da parte dei leader di Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca era cosa certa, e dunque ci si ritrova di fronte all'ennesimo fallimento di un'Unione basata su trattati vecchi, articolati, progettati per avvicinare con moderazione, cautela, e molta burocrazia le Nazioni che lo desiderassero, non al fine di formare un ente che avesse davvero polso e potere gestionale per quanto riguarda le problematiche comuni in Europa.
Quale riflessione si può trarre da una sconfitta in fondo così già annunciata? Forse che il più grande nemico di questa UE non sono poi i populisti, i sovranisti e gli xenofobi, sintomi di uno scontento diffuso e del fallimento di innumerevoli rappresentanti della vecchia guardia politica, ma l’impalcatura stessa sulla quale l’Unione si regge: dal trattato di Dublino fino ad ogni dettaglio del regolamento interno, che fa sì che l’unico organo composto da rappresentanti direttamente eletti dal popolo europeo, l’europarlamento, rappresenti in realtà solo una debole costola legislativa dell’UE stessa, facilmente arginabile e dai poteri effettivi estremamente limitati. Se mai l’impianto giuridico antico e pericolante di questa unione verrà svecchiato, se il deficit democratico di cui palesemente soffre sarà sanato, allora si potrà forse iniziare a pianificare un serio contrattacco istituzionale nei confronti di chi quest’unione vuole smantellarla. Fino ad allora, purtroppo, gli sforzi in questo senso rischiano di dimostrarsi inutili, e l’unica soluzione sarà ancora la vecchia, tradizionale politica internazionale fatta di summit, meeting tra capi di stato e dialoghi inconcludenti. Dopotutto, ad oggi, gli euroscettici potrebbero non aver nemmeno bisogno di smantellare l’unione che tanto odiano, visto che, per il momento, si sta dimostrando nient’altro che la carcassa stanca di un enorme pachiderma burocratico e istituzionale, adagiata sul continente.
* laureato in sviluppo e cooperazione internazionale, specializzando, presso l'Universita' di Pavia, in relazioni internazionali.