Una maggioranza liberticida ha imbavagliato il Parlamento @ 31 Dec 2018

E' "passata" la legge
che punisce l'Italia

di GUIDO NICOSIA

 

Buon anno. Che il 2019 sia, per tutti, portatore di serenità. Questo è l’auspicio. Purché il cielo, con i tempi che corrono, ce la mandi buona!
Quando il Parlamento viene esautorato, quando si imbavaglia il dibattito, si impedisce il confronto delle idee, si preclude all’opposizione il diritto di esercitare il proprio ruolo di controllo, come è accaduto in questi giorni in Italia, significa che la democrazia, nella sostanza, nella accezione più autentica del termine, è morta. Lo Stato di diritto cessa di esistere e lascia spazio all’avvento di un regime liberticida. Quel che è peggio, appannaggio di demagoghi imbecilli,  generati  dalla sottocultura della semplificazione xenofobo-populista e (forse) perfino inconsapevoli della gravità del danno di cui sono portatori. No, non faranno “di quell’aula sorda e grigia” un bivacco per le squadracce dei picchiatori venuti a Roma a castigare una classe politica “inetta e arrendevole”, i tempi sono mutati da quel turbolento inizio degli anni ’20 del secolo scorso: oggi la violenza, agli albori del nuovo millennio, si esprime con diverse  modalità, ancorché ugualmente insidiose.
In quell’aula rumorosa e scomposta, a causa delle inevitabili tensioni che la agitano per il vulnus che è costretta a subire, si consuma l’umiliante rituale di un governo che si presenta all’Assemblea parlamentare proponendo il voto a scatola chiusa, imponendo la “fiducia”, quindi impedendo la fisiologica e legittima discussione, su provvedimenti di fondamentale importanza per il Paese, come la legge di bilancio. Che ottiene il consenso senza che i cittadini e i loro rappresentanti eletti ne conoscano i contenuti e possano valutare scelte calate dall’alto, senza che su di esse sia possibile esprimere una critica, un giudizio. Anche se, quelle “scelte”, sono destinate a condizionare pesantemente la vita e il futuro di tutti.  Come – ad esempio – l’implicito aumento delle tasse previsto, il sostanziale taglio delle pensioni per oltre cinque milioni di italiani, la riduzione dei fondi in dotazione ai comuni con conseguenti penalizzazioni a danno dei servizi civici, con l’inevitabile inasprimento delle tariffe dei trasporti, con lo scadimento del decoro urbano, con la mannaia scandalosamente calata sui contributi al terzo settore. formato da soggetti organizzativi di natura privata ma volti alla produzione di beni e servizi a valenza pubblica o collettiva.
Senza parlare di ciò che significa lo sforamento del rapporto deficit-pil oltre i  limiti del due per cento nel 2019 per la nostra economia avviata, in tal modo, a una prospettiva di preoccupante instabilità. In soldoni: tassi di interesse in aumento, ostacoli agli investimenti, stop alla crescita, risparmi a rischio, aumento dell’iva, incremento della pressione fiscale.
E’ forse così che si realizza ciò che i fanfaroni giallo-verdi dicono di voler fare a parole? E’ cosi che si possono attenuare le diseguaglianze , dando avvio a uno sviluppo sostenibile ed equilibrato del Paese con una equa distribuzione del reddito e della ricchezza? La realtà, purtroppo, ha ben altre sembianze.  Non assomiglia affatto al goldoniano servitore di due padroni, modesto imbonitore, messo lì, a Palazzo Chigi, a reggere il moccolo di un improbabile  fidanzamento. Tanto meno assomiglia ai protagonisti negativi della vicenda, il “giallo” e il “verde” che paiono riconducibili alle caratteristiche di  due personaggi minori della narrativa manzoniana, “l’oste della luna piena” e “il mercante di Milano”. Il primo è una delle macchiette più riuscite dei Promessi Sposi essendo presentato come un astuto gestore di locanda che è amico di tutti e bada ai propri interessi ma è anche abile a interagire col poliziotto per amore della quiete e non certo per ossequio alla Giustizia. Il secondo parla della vicenda di Renzo, deformandone in modo grottesco i dettagli, dipingendo il giovane come capo della sommossa e anche lui difende, in primis, i suoi interessi, auspica processi sommari contro i capi-popolo mentre invoca la religione come strumento di repressione popolare; è un uomo metodico dai gesti abituali dotato di un’eccellente parlantina che gli permette di avere l’attenzione del suo uditorio e di convincere tutti delle sue ragioni. Un demagogo ante lettera.
La cosiddetta “manovra del cambiamento per il popolo”, nasce da queste basi culturali. Ma al popolo, in realtà, non riserva nulla di buono. Una manovra regressiva, per quanto riguarda l’economia, ma lo è anche sul piano sociale, e contiene pericolosi rischi per la tenuta della legalità democratica.  Per poterla varare, per trasformarla in legge, la maggioranza grillo-leghista ha impedito a deputati e senatori dell’opposizione, forzando, con vari espedienti, le regole parlamentari oltre ogni ragionevole misura, di esaminare, di valutare il testo di quel documento e di denunciarne nella sede deputata, il Parlamento, le storture e le incongruenze. Con ciò violando lo spirito e la lettera della Costituzione repubblicana.
“Il mercante di Milano” – a torto o a ragione - avverte il vento in poppa ed oltre a giocherellare avventatamente con il pallottoliere della finanza pubblica (flat tax, quota cento, reddito di cittadinanza), a fini elettoralistici, come l’ ”oste” suo sodale, in vista della prossima scadenza per il rinnovo del Parlamento europeo, si dichiara insoddisfatto della vicenda che ha portato alla composizione della diatriba con la Commissione Europea sul rispetto delle regole comunitarie. “All’indomani della prossima tornata  elettorale europea – ha affermato, alludendo al possibile successo delle formazioni euroscettiche che si riconoscono nel gruppo di Visigrad – ci saranno nuove maggioranze. Ed allora per varare la manovra economica del 2020 non dovremo fare la spola con Bruxelles. La manovra la faremo direttamente noi, italiani, con i soldi degli italiani”. 
E’ questo, uno dei luoghi comuni cavalcati dal governo populista e sovranista (“così ci impone l’Europa”) che è necessario sfatare. Non è possibile superare la soglia del 2 per cento nel rapporto deficit-pil solo perché ce lo chiede l’Europa ma per il motivo, ben più importante, che non si può  infrangere quel limite senza compromettere la stabilità della economia. Il che equivarrebbe (ecco la realtà della quale si deve prendere coscienza) a punire le fasce più deboli della popolazione. Delle quali è ormai entrato a far parte, a pieno titolo, il “ceto medio”, struttura attiva e portante della società civile, sempre più impoverito e umiliato, in Italia e nel mondo intero, dalle dinamiche perverse generate dal divenire tumultuoso della globalizzazione che pure ha consentito il raggiungimento di importanti traguardi nelle relazioni socio-economiche internazionali.  Tuttavia producendo rilevanti distorsioni (i poveri sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi) all’origine del diffuso disagio di larghi strati della popolazione, causa del risentimento sociale che ha scosso, a tutte le latitudini, le istituzioni democratiche, anche in paesi di antica e consolidata tradizione. Si spiegano così, secondo autorevoli studiosi di scienze umane, le involuzioni dell’assetto politico prodotte dalla “rabbia sociale”, dagli Stati Uniti d’America all’Europa continentale, dove sono germogliati dalle urne elettorali fenomeni imprevedibili di ottuso e improvvido nichilismo populista.
E si comprendono, di conseguenza, i comportamenti grotteschi, fino alla farsa, posti in atto dai protagonisti della “anomala svolta”, assetati di popolarità e di consenso, sollecitati ad ogni costo, anche a scapito della “dignità” richiesta dal ruolo istituzionale che rivestono. Quelli del paperone ossigenato che siede alla Casa Bianca, roboante Rodomonte, quelli del nuovo zar di Russia che si esibisce con abili mosse da cintura nera e scende sportivamente sul ghiaccio di una pista di hockey, infine quelli del superman nostrano, ministro degli Interni, che smesse le felpe con motti eclatanti, indossa casacche da poliziotto, i segni distintivi, le mostrine del corpo di polizia, e così abbigliato varca le soglie del Viminale e partecipa, poi, alle riunioni ufficiali. Oppure, sotto il sole smagliante dell’ultima domenica dell’anno, mentre in TV appaiono i lamenti e i volti doloranti della gente di Sicilia aggredita dalla lava dell’Etna e dalle scosse di terremoto, lui, il più bello, l’italo-altruista ad oltranza, con la giacca a vento e la scritta “Polizia” che gli copre le spalle, sulle piste innevate di Bormio si concede alla grazia dei tifosi che graziosamente gli chiedono un selfie. Fenomeni da baraccone?  Fate voi. Chissà che un giorno il nostro ministro non decida di presentarsi in pubblico vestito da pompiere.


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